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martedì 22 novembre 2011

E' silenziosa, la bellezza

Forse tutto quello che facciamo, in fondo, è cercare quel pizzico di bellezza nell’inferno che ci circonda.
Se ci pensi un attimo, non c’è nulla di perfettamente bello.
Anzi la bellezza c’è, spesso, proprio perché  c’è anche qualcosa che non va. 
Un inferno, con in fondo qualcosa, qualsiasi cosa, di bello.
Non so cosa sia bello, e comunque non importerebbe a nessuno: salvo poche cose (l’ultimo canto del paradiso, il requiem di Mozart, Lontano lontano di Tenco, l’Alexandros di Pascoli, la vendetta di Edmond Dantés, Follia di McGrath, Eugenio Allegri che recita Novecento, Il bacio di Klimt, Il notturno Op9numero2 di Chopin, gli amanti di Magritte,  forse qualcosa in più…) di oggettiva bellezza, il resto è tutto un susseguirsi di attimi che regalano emozioni e rendono il bello qualcosa di raggiungibile, almeno per un attimo.
Bellezza.
Come se si sapesse che vuol dire. 
Concetti astratti che fissiamo per convenzione. 
Se ci pensate ognuno potrebbe avere un suo concetto di bellezza, di tristezza, di felicità, di amore…e potrebbero essere tutti diversi. 

Sette miliardi di concetti, tenuti insieme da un racconto di Dumas reso eterno da Verdi.

Se c’è una cosa di cui sono sicuro è che la bellezza, il concetto intendo, ha a che fare con altri tre elementi, imprenscindibili, che la completano, le danno vita, e la vegliano:
Tre elementi, uno diverso dall’altro, quasi uno mancante dell’altro, ma solo superficialmente: la lentezza, il movimento, l’imperfezione.

Il bello è lento, lento nei tempi, nei modi. Lento.

E si muove, quasi sempre. Una ballerina che sta per entrare in scena. Un attore che sbaglia una battuta e si gira a cercare il suggeritore, la musica, una curva molto larga che va prima a destra e poi a sinistra. Il collo di lei coi capelli legati all’in su tenuti insieme da una matita. La sua spalla nuda.

E’ imperfetto. E’ ciò che in mezzo all’inferno, non è inferno. E’ qualcosa di incompleto, lasciato a metà dalla natura, un pensiero ancora da pensare, una parola pensata e non detta. Un bacio sulle labbra. Lento anche quello.
E’ una macchina distrutta sulla strada deserta all’arrivo dell’autunno.



venerdì 11 novembre 2011

Perdersi.

Non conosci davvero una città finché non ti perdi tra le sue strade infinite.
Non conosci davvero te stesso finché non ti perdi tra le strade di una grande città.
Io le incontro così, le città. Perdendomi.
E’ così che ho iniziato il mio passaggio a Porto. Senza una cartina tra le mani. In Spagna c’è un verbo utilizzato per dire “camminando a piedi”, si dice “Andando”. Per un italiano è strano perché andare, per noi, vuol dire muoversi, in qualsiasi modo, da un posto all’altro. Per loro no. Andare è andare a piedi. E basta.
Andando per la città allora, mi accorgo che c’è qualcosa che non ho mai visto da nessuna parte: i colori.
A Porto, di diverso, c’è la sensazione di essere caduto su una tavolozza di un pittore fiammingo. Rosso. Blu. Azzurro. Verde ma non troppo. Colori, gente. In città.
Mi sono perso tra le strade di Porto, poi ho deciso di prendere una cartina.
Solo per non avere l’impressione di non aver visitato niente ho fatto il giro che mi consigliavano per vedere il più possibile, ma la vera visita l’avevo già fatta tra quelle stradine strette, tutte in pietra, sovrastate da palazzi altissimi, luci buie per la via, inquietanti. Dal basso verso l’alto, come per scalare una montagna. E poi…il panorama.
Come ve lo spiego il cielo di Porto?  

Pre-partenza. Poi si parte davvero.

Ore 5:44.
Seduto alla caffetteria dell’aeroporto. 
Prima sconfitta da registrare: Costretto a prendere taxi. 
L’autobus è poi arrivato, sulla collina…ma l’altro, quello che doveva portarmi a prendere il bus per l’aeroporto aveva 20 minuti di ritardo…e non potevo permettermi di perdere questo tempo, considerando che l’ultimo bus per l’aereoporto partiva troppo presto. Forse riuscivo a farcela, ma data la sfiga ho preferito non rischiare. 
Pagato 24euro. 
Quanto i biglietti aerei per Santiago e poi da Porto a Madrid.
Prima lezione: mai più aerei con orari assurdi. La prossima volta, aerei dopo le nove, come minimo. Oppure vengo a dormire in aeroporto. Ma non si può rifare un’esperienza come quella di stanotte.
Ok, dimentichiamo il taxi, il freddo che mi ha gelato i piedi e le gambe e quel minchia di autobus che mi sono lasciato scappare da sotto gli occhi. C’è un viaggio da fare. Sono solo tre giorni, ma è comunque un viaggio, con tutti gli inconvenienti del caso.
Il caffè è caldo. E chiamarlo caffè è una bestemmia. He preguntado “un capucino”, mi hanno detto che non si poteva, solo café con leche. E pigliamone sto café con leche.
Non vi dico neanche se è buono o no. Il caffè in Spagna non può essere buono. Deve esserci solo per necessità, ma non esiste il piacere del caffè. “Un café como sse ddeve”, diceva una pubblicità tempo fa. Niente da fare. Café con leche, almeno è caldo.
Sono seduto a un tavolino per due. Circondato da gente assonnata che addenta cornetti fumanti e beve succhi di frutta (avranno provato una volta il café, quini ora prendono solo succhi.) L’imbarco apre alle 6:40, chiude alle 6:50. Bah
Ai controlli avevo dimenticato l’orologio. Mi hanno perquisito quasi fossi un criminale: capisco che non mi taglio i capelli da due mesi, ma il faccino innocente non è mica scomparso!!
Quando arriverò a Santiago sarà mattina presto.
Non ho ancora pensato cosa devo fare, lo faccio insieme a voi: 1.cercare un autobus che mi porti verso il centro di Santiago.
2.Raggiungere l’albergo (Check in alle 10:00)
3.Chiedere dove si trova la stazione dei treni (domani partenza per Porto)
4. Chiedere se ci sono dei treni che portano direttamente a Porto.
5. Chiedere una mappa  in cui siano segnate le cose principali da vedere in un giorno e mezzo.
Va bene, non sembra difficile. Sempre che tutto vada come sperato. Magari hanno cancellato tutti i treni che vanno in Portogallo…ma stavolta il taxi non lo prendo di sicuro! 

giovedì 10 novembre 2011

L'importante è pensare a tutto PRIMA!

Non sono ancora partito.
In questo momento aspetto un autobus che non so quando arriverà, se arriverà, per portarmi in centro a madrid, dove, se arrivo sano e salvo in tempo, dovrò prendere un bus che mi permetterà di prendere l’ultimo bus che porta all’aereoporto. Avete capito? Io sono ancora alla prima fermata. Ma dovete aver chiaro dove sono, e soprattutto che sono qui da un’ora. E adesso sono le 4:08  del mattino.
Partiamo con ordine, dal pre-serata.
Compleanno di Danilo. Centro di madrid, alle 21:00. Per raggiungere il centro devo prendere il metro, e dopo un’oretta circa ci sono. Non ci sono problemi. Armato di valigia e cattive intenzioni, arrivo alla festa dove incontro tanti amici e conoscenti. A mezzanotte e mezzo bisogna andare perché per entrare in discoteca gratis si deve arrivare prima dell’una e mezza. Io declino l’invito, approfitto del metro aperto per prendere un treno che mi porti a prendere il bus che mi porta alla residenza in cui abito. Prendo il bus dell’una e mezza, alle 2 sono nel mio letto. Ho risistemato la valigia lasciando un jeans e una felpa, così riesco a farci entrare il pc, cercando inutilmente di non svegliare il mio compagno di stanza, poi mi sono vestito e mi sono messo a letto. Sveglia puntata alle 4 meno un quarto. 
Non riuscivo a dormire. 
Troppe cose da fare, troppi orari devono coincidere per arrivare in orario, mi alzo alle 3, cambio giubotto (non fa poi così tanto freddo) e riprendo la mia valigia, per cercare una fermata sconosciuta, mai presa, che sarebbe quella della linea notturna che porta a Madrid. (l'ho sempre fatta al contrario)
Dopo dieci minuti di ricerca, vedo una luce che potrebbe sembrare quella che indica una fermata, mi muovo verso quella direzione e sento un cane abbaiare in un modo spaventosissimo. Da paura, davvero (ok, io mi spavento facilmente, ma era davvero inquietante).
Comunque sarà stato legato, perché non ho visto niente, solo latriati alla luna, o a me.
Raggiungo la fermata e la luce che avevo visto da lontano è un terribile squalo che sta per mangiare una nuotatrice: è la pubblicità di un film al cinema, ma in questo contesto mi sembra più un cattivo presagio!

Dovete immaginarvi la scena: deserto, qualche albero solitario si alza verso il cielo. La strada principale passa sotto una collinetta. Io sto su quella collinetta, il bus dovrebbe fare una leggera deviazione per raggiungere le fermate (poste ai due versanti della collina) per poi riprendere il cammino nella strada principale. Buio, silenzio. Nebbia fitta e lampioni che emanano una luce gialla. Scura, quasi arancione, di quelle calde e buone per l’interno di una stanza, ma troppo scure per un ambiente esterno, quasi inutili, soprattutto con la nebbia.
Tre della notte. Adesso 4 e venti. Ma cosa stai a fare ancora lì, ti starai chiedendo. Non capisci che non passerà mai niente? No amico, ti sbagli. Passerà un autobus, l’unica domanda è "quando?" Seguita subito da un'altra che la rende meno unica: “Si fermerà a raccogliere questo corpicino inerte che vuole partire, evitando di chiamare un taxi?”
Passerà perché l’ho già visto, mentre ero sull'altro versante. 
Perché? Ti spiego.
Mentre aspettavo questo faitidico autobus, che teoricamente dovrebbe partire dal capolinea alle 3 e 20, poi alle 4 e 20, vedo tutt’un tratto un autobus vuoto che passa per la strada principale, senza salire il versante per assicurarsi che non ci sia nessuno alla fermata; mi immagino il pensiero dell’autista: “Sono le 3 e mezzo, chi vuoi che ci sia a quest’ora che vuole andare al centro di Madrid.” Vaffanculo, autista.
Vedo che tira dritto, il pirla, quindi mi innervosisco leggermente e decido di andare a prendere il bus che si allontana da Madrid per scendere a una o due fermate più in là, sperando che siano poste logisticamente meglio dell’attuale. Mentre aspetto quel bus però, vedo che un altro bus arriva, dalla parte opposta, quella che porta a Madrid, e passa davanti alla fermata dove pochi minuti prima stavo agonizzando per un passaggio verso la città, e riprende la sua corsa.
Sfiga, dirai. Sì, ti rispondo. Sono sfigato. Troppo sfigato.
Mi rendo conto che prima o poi passerà un altro bus da quella fermata. Decido di tornare dall’altra sponda, quella che porta a Madrid.  E aspetto. Ora sono le 4 e venticinque. Arriverà. Prima o poi arriverà. E riuscirò ad arrivare a piazza de Castilla per prendere Bus che mi porti a Cibeles per prendere bus che mi porti all’aeroporto.
Aspetto fino alle 5, poi chiamo un taxi.
Fine prima parte. Devo ancora cominciare il mio viaggio.
Un saluto a tutti quelli che in questi giorni hanno ripetuto che programmo troppe cose e che mi faccio troppe paranoie. Sono uno sfigato distratto e addormentato.

lunedì 24 ottobre 2011

Granada

Gli antichi costruirono Valdrada sulle rive di un lago con case tutte verande una sopra l'altra e vie alte che affacciano sull'acqua i parapetti a balaustra. Così il viaggiatore vede arrivando due città: una diritta sopra il lago e una riflessa capovolta. Non esiste o avviene cosa nell'una Valdrada che l'altra Valdrada non ripeta, perché la città fu costruita in modo che ogni suo punto fosse riflesso dal suo specchio, e la Valdrada giù nell'acqua contiene non solo tutte le scanalature e gli sbalzi delle facciate che s'elevano sopra il lago ma anche l'interno delle stanze con i soffitti e i pavimenti, la prospettiva dei corridoi, gli specchi degli armadi.
Gli abitanti di Valdrada sanno che tutti i loro atti sono insieme quell'atto e la sua immagine speculare, cui appartiene la speciale dignità delle immagini, e questa loro coscienza vieta di abbandonarsi per un solo istante al caso e all'oblio. Anche quando gli amanti danno volta ai corpi nudi pelle contro pelle cercando come mettersi per prendere l'uno dall'altro più piacere, anche quando gli assassini spingono il coltello nelle vene nere del collo e più sangue grumoso trabocca più affondano la lama che scivola tra i tendini, non è tanto il loro accoppiarsi o trucidarsi che importa quanto l'accoppiarsi o trucidarsi delle loro immagini limpide e fredde nello specchio.
Lo specchio ora accresce il valore alle cose, ora lo nega. Non tutto quel che sembra valere sopra lo specchio resiste se specchiato. Le due città gemelle non sono uguali, perché nulla di ciò che esiste o avviene a Valdrada è simmetrico: a ogni viso e gesto rispondono dallo specchio un viso o gesto inverso punto per punto. Le due Valdrade vivono l'una per l'altra, guardandosi negli occhi di continuo, ma non si amano. (Calvino - Le città invisibili)




sabato 1 ottobre 2011

Sopra tutto quello che alle due di notte può venirti in mente.

Avevo scritto. Poi non mi piaceva. Aveva un sapore tiepido. Quella temperatura che non serve a niente. Come fai a bere un tè tiepido? O è freddo o è caldo. Cos'è, tiepido?
La verità è che per ora è tutto un po' tiepido. 
Avrei bisogno di una birra ghiacciata sul bancone di un bar. O di un tè caldo su un tavolino per due. Qualcosa che non sia tiepido, ecco.

Madrid è la città che non dorme mai. Dopo un mese scopri che però tu, almeno un po', devi dormire.


Oggi ho letto che Benjamin non arrivò a scrivere neanche un libro. Lui prendeva appunti, aveva idee geniali, ma poi niente, non gli riusciva di mettere in piedi uno schema ordinato. 
Ecco io non voglio non avere uno schema. Però ho un debole per "tutteledirezioni". E' più forte di me. E mi sembra sempre che si possa avere un po' di più prima di convincersi che è ora di sistemare le cose in modo stabile. Di costruire un'impalcatura. Mi sembra sempre che non sappia abbastanza, che ci sia ancora tanto da vedere. Che c'è quell'angolo che non ho fotografato e magari se torno al tramonto e incontro una ragazza con l lentiggini...


Ho letto anche che i fiumi fanno un percorso 3,14 volte la loro lunghezza per arrivare a valle. 3,14 senza errori. Non so se sia vero. Stanotte mi piace pensare di sì. E che io sia un fiume. E che abbia davanti "tutteledirezioni".


Ho letto, infine, che Benjamin, tra i suoi appunti, scrisse anche qualcosa su Topolino. Tra tutti gli argomenti ALTI di cui aveva parlato, per un attimo, scrisse di Mickey Mouse: avrebbe potuto benissimo risparmiarsi una riflessione su Topolino, eppure la fece. Proprio come me, questa notte in cui mi ero ripromesso di andare a letto presto. Avrei potuto...ma perché no?


"Quando girando per un paese sconosciuto trovate il cartello che indica 
<<Tutte le direzioni>>, 
vi sembra di non meritarvelo o siete presi da leggera euforia?"


Ho bisogno di un tè caldo. "Quieres ir a tomar algo, mañana por la tarde?"



giovedì 22 settembre 2011

Don Chisciotte non era pazzo. Voi tutti lo siete.

Cavaliere: “Vedi anche tu, fido scudiero, quel che ved’io?”
Scudiero: “Io vedo solo quello. Se m’intendi.”
Cavaliere: “T’intendo. Chissà cosa starà cercando, puntandoci addosso quello strano arnese.”
Scudiero: “Non lo so, ma non mi piace per niente. E poi si vede che non è uno di cui ci si possa fidare.”
Cavaliere: “Sempre il solito esagerato. Se tutti fossimo più gentili e disponibili, in questo mondo, ci sarebbe più sole.”
Scudiero: “Quello comunque qui non manca, caro padrone.”
Cavaliere: “Sì, ma arriverà il freddo, tra poco, e chissà se quello sarà ancora lì.”
Scudiero: “Non credo, sembra uno di passaggio.”
Cavaliere: “Sì, si vede che non è del posto. Ma l’essere di passaggio non vuol dire niente. C’è gente che ha passato una vita ad aspettare. A passeggiare. A passare. A errare, proprio come noi. A proposito, non ti sembra strano che un cavaliere errante e il suo scudiero siano costretti a stare fermi immobili per sempre, in questo parco?”
Scudiero: “Proprio questo pensavo. Noi quand’è che passiamo? Non c’è nessuna principessa da salvare, nessun gigante da battere?”
Cavaliere: “Non so. Dovremmo chiedere al cavaliere e allo scudiero che ci stanno di fronte.”

Scudiero: “Quei due non mi sono mai stati simpatici. Non stanno mai fermi. Basta un po’ di vento e subito cominciano a muoversi. Restano lì, per fortuna, ma non son capaci a star’immobili.”
Cavaliere: “Sono meglio di noi, che non possiamo neanche esitare un pochino. Hanno una forma di movimento, in divenire.”
Scudiero: “Bah, e comunque quello lì io lo vedo diverso, da quando è venuto la prima volta”
Cavaliere: “E cosa vedi?”
Scudiero: “Non so, ha più consapevolezza. Ma perde di avventurosità.”
Cavaliere: “Avventurosità?”
Scudiero: “Sì. Come sa anche vossignoria, quando prima di partire ci si crede che ad ogni angolo ci sia un drago o un bandito, che mille avventure stiano lì ad aspettare, mezze addormentate, in attesa di un coraggioso cavaliere. E poi invece quando si comincia ad errare ci si rende conto che l’avventura sta nelle piccole cose. Nella ricerca di un fiume per abbeverarsi. Nella raccolta di un frutto o nell’incontro in un’osteria che sembra un castello.”
Cavaliere: “Era un castello, ti dico. Però t’intendo. Con la fantasia si può credere di esser pronti a tutto. Poi magari non succede niente.”
Scudiero: “Bah. A vederlo sembra felice, però. E’ spaventato, ma felice.”
Cavaliere: “Gli manca uno scudiero. E un cavallo. Poi ha tutto l’aspetto di un cavaliere errante. Armato magari di quell’arnese che ci guarda ancora.”
Scudiero: “Magari lo scudiero lo trova Andando. Magari quando tornerà. Avrà sicuramente qualcuno che l’aspetta.”
Cavaliere: “Son le principesse che aspettano. Non gli scudieri.”
Scudiero: “Si ma quelli che accompagnano siamo noi scudieri. Voi avete passato più tempo con me che con la vostra amata Dulcinea.”
Cavaliere: “Solo perché io non ero con lei. E lei non era con me. Se avessimo potuto…”
Scudiero: “Voi sottovalutate l’importanza di uno scudiero. Me ne ricorderò quando avrete voglia di scendere dal cavallo.”
Cavaliere: “Sono secoli che vorrei scendere, a dire il vero. Ma siamo intrappolati qui.”
Scudiero: “Pensate a quante avventure avremmo potuto compiere, in giro per il mondo, in tutti questi anni.”
Cavaliere: “Magari le compirà lui. O magari raggiungerà la principessa. O troverà uno scudiero. O un’altra principessa. O magari le racconterà, tutte queste avventure. Prima di raccontarle, però, dovrebbe viverne.”
Scudiero: “Non ti dimenticare di viverle, le tue avventure. Che a raccontarle c’è sempre tempo.”

Scusate il ritardo.Sono tornato. Anzi, sono appena partito.



martedì 19 luglio 2011

Scrivere è innamorarsi di qualsiasi cosa porti in sé una speranza.

E’ la linea tra braccio e avambraccio più bella che abbia mai visto.
Disegna un’armoniosa curva, piena e delicata.
Tiene il libro con una mano, al centro e dall’alto, con un po’ di pressione tra le due pagine: legge poco.
Una pagina, forse neanche. Poi si distrae. Parla coi vicini, scambia occhiate, torna a leggere qualcosa. 
Chiude gli occhi, solo per qualche minuto. Ha la testa abbandonata verso sinistra, che sfiora appena il poggiatesta rigonfio.

Capelli rossi; di un rosso che non è soltanto rosso: è un insieme di colori, di tracce che il cervello traduce “ROSSO” solo perché non riesce a cogliere le sfumature giuste,non comprende le dimensioni che arriva a contenere. 
Rosso che rosso non è. Ramato. Giallo. Castano chiaro. Colore d’autunno, di foglie che cadono, di tristezza; di un regalo non gradito.
Ha un anello all’anulare destro. E’ grande. Troppo voluminoso per una donna come lei. 
Sì, perché lei ha l’aspetto di una che d’estate indossa un vestitino che arriva appena sopra il ginocchio, quello leggero leggero che fa benedire la delicata brezza dell’imbrunire.
E’ di quelle che mettono il top senza reggiseno. 
Di quelle che alla prima occasione fanno quella strana magia che permette a una matita di mantenere i capelli all’in su, lasciando le spalle scoperte (altre morbide curve, altre linee armoniose).

Piedi scalzi, uno tirato sul sedile: cinge la gamba destra con il braccio che non tiene il libro.  L’altro è allungato in avanti, alla massima estensione che una gamba può raggiungere senza sforzo. Non ha lo smalto alle unghie, quasi volesse dirmi con questo che ho ragione nel giudicarla una che non può tingere quelle unghie che poco dopo morderà ossessivamente. Orologio al polso: è un oggetto indossato per la sua funzione (chi usa, ormai, l’orologio per avere un oggetto che misuri il tempo?), niente comunicazione di personalità o narcisismo tecnologico: l’avrà trovato mentre preparava la valigia, avrà pensato che tirar fuori continuamente il cellulare per controllare l’ora sarebbe stato più scomodo di indossare quell’orribile, digitale, ingombrante misuratore di tempo, e avrà deciso di prenderlo. Ma non le appartiene, non racconta nulla di lei. Non è davvero suo.
Sto pensando che potrebbe essere il regalo di un fidanzato distratto. O magari di un ex che non ha dimenticato. Dimenticalo, cara. Ascoltami, non ne vale la pena. Chi mai potrebbe regalare una cosa del genere senza avere alcuna intenzione di chiudere con te? E chi mai desidererebbe chiudere una storia con una con i tuoi capelli e quelle lentiggini appena accennate? Mollalo, e se vi siete già mollati, sta’ tranquilla. Non era quello giusto!

Sto cercando da un po’ di indovinare la tua età. Ne hai trenta? Di più? Mi spingo fino a 35, non uno di più. Ho appena assistito a un passaggio, nel tuo volto, che ti racconta in modo straordinario: o almeno racconta quella che sei dentro la mia testa, e dentro i tasti che formano queste frasi: Sorridevi ai tuoi vicini: quando sorridi c’è come una luce, attorno al volto. Niente di trascendente o miracoloso, ma sei una che sorride col volto, e non solo con la bocca. Mostri i denti senza vergogna (sono bianchissimi, e ne vai fiera) e poi c’è quella fossetta che si crea, ai due lati. Simmetrica, appena accennata: penso che il trucco stia tutto lì! Non  ho più detto cosa hai fatto per scoprirti in quel modo ai miei occhi: sorridevi, dicevo, però la conversazione era finita, volevi tornare al tuo libro, al tuo racconto di Cammilleri (o Carofiglio ?(maledetta miopia!)) che quasi sicuramente non ho letto (ne ho letti così pochi di entrambi), e ti sei decisa a farlo un secondo prima del necessario, quando avevi ancora tracce del tuo radioso sorriso sul volto: ti sei trovata impreparata e imbarazzata. Tornare alla vita normale dopo una sorriso così, di colpo, all’improvviso:  sei passata ad un’espressione divertita, bocca chiusa leggermente sorridente, poi, pian piano, sei diventata più seria, fin troppo: hai piegato in giù le labbra, corrucciato la fronte, quasi a voler raccontare col volto che eri interessata alla storia, come se avessi letto qualcosa di estremamente interessante che aveva catturato la tua attenzione, quando invece stavi semplicemente pensando a come sia dura cambiare tutto completamente, passare da uno stato all’altro senza alcun filtro, senza preparazione. Oppure stavi solamente pensando che non dovevi avere una bella espressione in quel momento. Non ti piacevi, e basta.

Cazzo mi hai scoperto. Non sono stato bravo a nascondere il fatto che ti stessi studiando. Hai alzato lo sguardo all’improvviso, in tensione, a dirmi con gli occhi che mi avevi visto, che non sono più nascosto dietro il mio monitor, che non c’è più scampo. Non sarai più un libro da sfogliare ma uno specchio. Guardo te e mi ci vedo dentro. Fai attenzione, ti sei chiusa. Ne è valsa la pena però.
Mi dispiace solo di essere stato così stupido da tenere le cuffie alle orecchie per tutto questo tempo: hai parlato, per un po’, e io non ho sentito la tua voce. Avrai una voce che ti racconta mentre parli? O la terrai nascosta dietro una neutra e perfetta dizione? E quando sorridi, la voce cambia, o dimentichi di parlare perché tanto la gente non ti sta più a sentire?

Il mare della Calabria spunta dal mio finestrino. Mi sembra troppo poco blu, quel mare. E’ semplicemente blu. Il tuo rosso invece è qualcosa di più. E’ il mare, al tramonto, una sera d’estate. E un vestitino a fiori, 
tentato da un vento leggero.



sabato 9 luglio 2011

Sunk Cost

In economia lo chiamano Sunk Cost. Costo affondato.

Per capirlo devi assumere una posizione temporale intermedia, tra l’inizio e la fine di un progetto:
qualsiasi momento della tua vita: 
hai sempre fatto qualcosa prima, farai per forza qualcosa dopo (anche se sei la particella di Dio, o se stai pensando di buttarti da un palazzo di 18 piani. Anzi, anche se stai già cadendo di sotto.) e, per un attimo, devi riflettere riguardo l’alternativa di continuare o di lasciar perdere.
Cosa? 
Non lo so, cosa. 
Qualsiasi cosa.
Tutto può essere ricondotto al nostro esempio. Se ci pensi, non fai altro che scegliere, porti delle alternative, continuamente, a volte senza neanche rifletterci. 
Per assurdo potresti anche decidere di non respirare più.

O potresti decidere di non decidere niente, cadendo in un paradosso senza fine che ti farebbe non decidere di decidere di non decidere (non sono ubriaco, è che mi diverto con le parole!).

I Sunk Costs, dicevo, non sono nient’altro che dei costi che non meritano di essere tenuti in considerazione, per il semplice fatto che sono – appunto – affondati, e quindi non possono influenzare la decisione futura. Non possono portarti a decidere di non fare qualcosa perché non l’hai mai fatta. 
E neanche a continuare qualcosa che non vuoi fare solo perché c’hai investito anni della tua vita.
Sono una gran cosa, i Sunk Costs: ti lasciano sempre la possibilità di abbandonare tutti gli errori fatti in passato. Ormai ininfluenti. E ti danno la forza di ripartire. Senza altro pensiero che il futuro. Senza niente alle spalle, niente di importante, almeno.

“Sarebbe da stupidi, non credi, passare una vita intera a desiderare qualcosa senza mai agire?”

Prendete in mano la vostra vita. Dimenticate il passato. Siete quello che siete ora
E potete diventare chiunque vogliate.

martedì 5 luglio 2011

Non-luogo lontano. Quasi un puntino.

Lo so come funziona: lei ti sembra la donna più bella che tu abbia mai visto sulla faccia della terra. E lo è.
E' perfetta in ogni cosa. Quando parla e quando sta a sentire. E poi quei capelli!
Forse è meglio non avvicinarti però. Passerà. Anzi no. Non passerà solo se rinuncerai a inseguirla. Lasciala lì. Perfetta.
Ti racconterai delle storie fantastiche sulla vostra invisibile storia. E andrà tutto bene. E lei non diventerà mai troppo presente da essere un errore. Il sogno è l'infinita ombra del vero.

Oppure attacca. Corri, brucia e grida. Ma non lamentarti, quando comincerai a spegnerti lentamente.
Lei è bellissima. Solo perché è lontana (?).

giovedì 30 giugno 2011

(Quando)Arriviamo(?)

Il trucco è andare avanti come se non ci fossero delle scadenze imminenti. E' così che ho resistito per queste settimane, pensando che un passo alla volta, sarei riuscito a raggiungere la meta senza riflettere sul cammino fatto fin'ora.
Scalare una montagna senza guardarsi indietro, neanche una volta.
Poi ti accorgi che arrivato in cima non resta molto. La soddisfazione di avercela fatta, forse.

Quando arrivi (se arrivi) ti guardi finalmente indietro, e vedi che le cose belle, quelle che credevi di trovare una volta raggiunta la vetta, beh, le hai già superate, te le sei lasciato alle spalle, mentre salivi, troppo occupato a fissare il traguardo per concederti una distrazione, un attimo di pausa.

E allora ti accorgi che andando dietro a un esame l'estate può finire improvvisamente.
E pensando che a Settembre vai a Madrid per un anno, rinunci a provarci con "quella lì".
Progetti futuri che tagliano le gambe al presente. E lo rovinano.

Vivere soltanto di una meta futura è sciocco. E' sui fianchi delle montagne, e non sulla cima, che si sviluppa la vita.


E invece della vetta io voglio fregarmene. E' il viaggio che mi interessa.
Non riuscirò a dimenticare le date che segnano la mia tabella di marcia, ogni giorno. Però devo imparare a dare il giusto valore alle cose. E alle persone. Devo guardarmi attorno. Curiosare. Smetterla di fissare il traguardo sperando  che una volta raggiunto finalmente- lì soltanto - raggiungerò la felicità.
Se c'è, questa, sarà in un passo tra i tanti, magari in uno su un sasso instabile, o la scoverò seduto a riposare, mentre mi godo il vento tra capelli e il sole al tramonto.


A volte viaggiare è quasi meglio che arrivare.


Sono tornato a casa da tre giorni. Ma è un eterno viaggio, tra presente e passato. Devo ancora trovare il mio spazio, in queste nuove geometrie (nuova gente, nuovi occhi che mi fissano), ma mi godo il viaggio.

sabato 25 giugno 2011

Padova Catania ON THE RAIL.

Sono su un treno di pazzi.
A Padova c’era solo un ragazzo nello scompartimento. Fa il militare (ha tutto lo zainetto e il borsone, e la maglia attillata e i pettorali, e l’espressione di uno che fa il militare). E’ il più normale di tutti. Poi sono salite due vecchiette…non sono nel mio scompartimento, ma gridano, dai loro posti, che è come averle accanto. Non capiscono come va usato il lenzuolo, (è di quelli a sacco, chiusi da una base e da un’altezza. Avete capto? No? Bah!) e allora c’è l’esperto di turno, che naturalmente non ha mai visto un lenzuolo e non ha la minima idea di come si possa dormire dentro quel pezzo di pseudo-stoffa, ma fa di tutto per rassicurare le vecchine, tenendo il loro stesso tono di voce e spiegando che “vedete, si farà così, questa è la testa, e qui ci mettete i piedi!” (maperchèlodevigridare?!?!)
A Bologna lo scompartimento si è riempito: sale un omino pelato, dalla carnagione olivastra e un altro omino meno omino del primo, ma più pelato, e con una carnagione più chiara. L’olivastro (o il meno pelato, decidete voi il termine di confronto (volendo ha anche gli occhiali che l’altro non ha (E’ JONNHY???? Abbassare le tessere con tutti quelli che hanno i capelli e non hanno gli occhiali))).

Il militare ha il pc collegato a internet, e sente musica tunz tunz da you tube. Ora, io l’avevo detto che non era uno di quelli che etichetti come intellettuale (non voglio che senta guccini, però cazzo, proprio la tunz tunz!?!?!?!) e comunque, se il flusso della musica attraversasse solo le sue operations private (il termine operations può essere usato per indicare qualsiasi cosa, dopo che date un esame di economia e gestione delle imprese) nessuno avrebbe nulla da dire…ma se, superando i decibel previsti dalla carta dei diritti umani, arriva a distruggere psicologicamente le mie cuffiette che al massimo del volume cercano di farmi distinguere qualche parvenza di “Innuendo”, allora i miei giudizi non possono essere che spietati. (Due parentesi necessarie: Scrivo periodi troppo lunghi: non perché stia leggendo Proust, né per  trasportare tutto su un piano surreale, ma perché è da tanto che non scrivo. E il mio cervello ha pensato troppi numeri negli ultimi mesi. E sentimenti troppo freddi. E ora torno normale. Torno io, a scrivere. Un fiume in piena!
La seconda parentesi vuole precisare che non è vero che stia ascoltando i Queen, ma dopo aver criticato la musica tunz tunz non posso rendermi vulnerabile, e quindi vado sul sicuro…citando Freddy non si sbaglia, mai.)

Torniamo all’olivastro: mi chiede aiuto per sistemare la valigia. Non ha forza, mi dice. Lo aiuto. La valigia pesa un casino. La mettiamo lì in alto, starà bene.
Dopo due minuti mi guarda e conclude che “forse è meglio che me la tenga vicino, la valigia, perché c’è lo spazzolino da denti, e il profumo. (evitiamo facili commenti, per favore: si vede che non è una persona con cui discutere per più di venti secondi, in questo caso la parola d’ordine è ASSECONDARE!) Gli SCENDO  la valigia (posso parlare così, sto scendendo in Sicilia e le cose di Acchiananu e si Scinninu, si Trasinu e si Niscinu), mi ringrazia con un ampio sorriso. Ricambio. (Ci siamo innamorati? No, è che devo passare una notte quasi sicuramente insonne per colpa del suo russare (scommetto che ci si metterà anche l’altro pelato), quindi mi costringo a non odiarlo prima di mezzanotte, perché dopo, imprecare al buio è molto più soddisfacente.

L’altro pelato, quello senza occhiali, mi guarda spazientito: sono seduto e non ho alcuna intenzione di andare a letto alle 22:08, mentre lui (qui persino Signori ci scommetterebbe) vorrebbe prepararsi il lettino (ma il lenzuolo, come si metterà, in alto o in basso (CHIEDA ALLA VECCHIETTA!))  e prendere sonno per primo, così da cominciare a russare e fottere il resto della ciurma. Io rimango impassibile. Sto scrivendo al mio pc, e prima stavo leggendo, e non ho alcuna intenzione di smettere per maledire la gente al buio di una triste cuccetta che attraversa l’Italia da Nord a Sud.

Il tipo con 6 orecchini è nello scompartimento accanto al mio: ha tre pearcing per orecchio. Tutti nei rispettivi lobi, uno accanto all’altro. La barbetta e la canottiera. Scende prima, questo. Non è siciliano, si vede.
Le vecchiette sono di Lamezia, lo abbiamo scoperto quando hanno deciso di raccontare un po’ della loro vita all’ INTERO TRENO!
E una ha tre figli. L’altra solo due. Vince la prima.
Il controllore mi ha chiesto il biglietto. La prima cosa normale di questa giornata.

Leggevo “Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”, prima, e ho raggiunto pagina 80 senza neanche accorgermene. Mi piacerà, ne sono sicuro. Mi ci vuole un libro che mi porti a rileggere per bene le frasi. Che parli di arte. E di libertà.
Intanto il treno sfreccia, dopo Bologna dovrebbe esserci Firenze, se non sbaglio…quindi non ci saranno fermate in vista…almeno per un po’.
Mi dedico per un attimo all’attività che in treno prediligo, quando non tengo gli occhi sui libri (vi ricordate l’intro di Pickwick, (anche Castelli di rabbia ne parla), quello della gente che sul treno, a velocità altissima, apriva un libro e leggeva, per salvarsi? Beh…anche io, non faccio altro che cercare vie di fuga. Uscite di sicurezza.): ogni tanto, quando non c’è troppa campagna sperduta, si riesce a intravedere uno scorcio di abitazione, illuminata dal lampadario della cucina, con qualcuno che guarda la tv o con una mamma che porta qualcosa in tavola, dove tutti stanno seduti ad aspettare ( non si vede tutto questo, di solito ,si immagina)…oppure c’è solo una luce illuminata, dietro una tenda che nasconde alla vista (leopardi docet): se ti metti a cercare di immaginare che vita ci sia dietro quella tenda, anche solo per un attimo, finchè la casa non scompare dalla tua vista, magari finisce pure che crei la traccia per il tuo prossimo romanzo, e che diventi uno scrittore famoso e mandi a fare in culo l’economia e l’analiticità dei classici del pensiero, per darti al romanticismo più sfrenato, arte pura, spirito, vita.

Magari non ti viene niente, e allora dovrai ripiegare sui personaggi che ti accompagnano nel viaggio. Magari ti succede che sono pazzi. E che inizi a scrivere di loro, e non la smetti più. Finalmente.

giovedì 23 giugno 2011

Quant'è?

Ok, io scrivo. Ma non è colpa mia.

Dite che non si può scrivere rimanendo anonimo. Invece è proprio così che voglio raccontarmi, qui.
Questo non c'entra con me. O forse quell'altro non c'entra, e questo è quello giusto. Di sicuro c'è solo che non sono gli stessi.
Si incontreranno, prima o poi. Ma non ora. Ora ci sono troppe cose da fare, non ci si può fermare a pensare, almeno non più di qualche minuto, magari solo per mettere in ordine, per evitare di impazzire.
Non voglio vivere senza pensieri. Li voglio, io, i pensieri. E voglio fare delle scelte. E magari poi pentirmene, ma essere coerente. E inseguire quello che voglio. Ma prima volerlo. E capire di volerlo, e convincersi, che ci sia qualcosa che voglio. Non posso non volere nulla. Non posso pensare che quando le cose si avvicinano e finalmente posso averle per me, magari non le desideravo poi tanto. Magari c'è qualcuno che li desidera di più, forse io sto bene qui, così.

Voglio un luogo che non sia solo nella mia mente. Lo cerco. Ma prima devo volerlo. E capire di volerlo con tutte le forze. E non continuare per inerzia. Essere spinto, da dietro, dalle mie convinzioni. E da nient'altro.

Ora le mie convinzioni mi portano a casa. Convinzioni e un po', anche le polpette della mamma. Datemi un luogo. Ma voglio sceglierlo.

giovedì 26 maggio 2011

Inso(mm/(nni)a.

La cosa più stupida che potrei fare in questo momento - e guarda un po', la sto facendo - sarebbe, dato il mancato abbandono della vita reale causa insonnia, quella di  stare al pc senza neanche dedicare queste ore di veglia forzata allo studio.
Avrei da regredire un beta. E da descrivere la struttura societaria di Safilo e Luxottica...ma mi viene male solo a pensarci.

La verità è che non dormo perché una ricevuta di ritorno non compie il suo dovere, rifiutandosi di ritornare.


E perché fa troppo caldo. No ma, cioè, và, dico io...troppo caldo.
La finestra deve stare chiusa,perché la gente si ostina a passare per Via Palestro facendo rombare i motori così forte che sembra lo faccia apposta (lo penso veramente, che ci sia un bastardo a inizio strada che dice: quando arrivate lì in fondo, A TUTTO GAAAAAS!).

Non riuscirò a dormire, già lo so. E domattina mi maledirò con tutte le forze. Perché la sveglia alle 7 suona, incurante delle mie occhiate torve. Bastardapurelasveglia!
Non riuscirò a dormire.
Non ci riuscirò.
Sicuro.
Notte.
ZzZ.

mercoledì 25 maggio 2011

Happy Towel Day from Distopia.

Non ho per niente voglia di scrivere. Sono giorni troppo intensi per fermarsi a pensare a qualcosa che non sia un portafoglio efficiente o un eccesso di imposta...
Però...
Però TODAY IT'S NOT AN ORDINARY DAY, IT'S TOWEL DAY!!

Non si può non lasciare una traccia del suo cammino nel mio cammino.
Non vi dico altro. Chi sarà incuriosito da una strana "festa dell'asciugamano", troverà tutte le risposte che cerca, e anche la RISPOSTA alla domanda fondamentale sulla vita, l'universo e tutto quanto...nella Guida galattica per gli autostoppisti.
Notte cari. E occhio alle navi Vogon!!!

lunedì 16 maggio 2011

Beh...bah...bleah!

Sai cos'è?
E' che forse il pubblicare qualcosa ogni sera, questo appuntamento fisso, ecco, beh, potrebbe rovinare tutto.
C'è di bello che inizio a pensare a cosa scrivere già dal pomeriggio, oppure quando succede qualcosa di carino mi dico "Questo può andare su Distopia", ma poi boh, se non lo scrivo in BOZZE finisce che dimentico tutto e mi resta solo la fastidiosa sensazione di dover fare qualcosa che non so cos'è.

Però qualche volta mi sembra che sia come una prescrizione medica...come se dovessi prendere una pillola ad un certo orario...e io con le pillole non ho un buon rapporto. Le scambio. Prendo quella della mattina alla sera e quella del pomeriggio la notte, poi non dormo, oppure ho sempre sonno, non ci capisco niente, capisci cosa intendo?!?

Ecco allora mi chiedevo che magari ci si poteva dare un'altra regola...che ne so, "Scrivo quando mi viene qualcosa di davvero fantastico"...no, non funzionerebbe...però potremmo decidere, che ne so di accontentarci di "Una CARINERIA sconvolgente"...o di "un' ACCETTABILE capolavoro"...

Bah...
La verità è che mi piace un casino non avere niente da raccontare...così posso scrivere quello che viene quando viene...e permettermi di non salvare in bozze delle idee splendide che al calar della notte si rivelerebbero delle vere e proprie BLEAHTE!

domenica 15 maggio 2011

Appunti

La lista della spesa.
Le date degli esami.
Le scadenze per l'invio dei moduli Erasmus.
I nomi delle persone che vengono a vedere la stanza.
Gli orari del corso di Spagnolo.
La lista dei desideri su Anobii.

Se cominci a fare degli elenchi per tutto, rischi di trasformare la tua vita in un elenco.
Appuntamenti. Appuntamenti importanti.
Orari. Liste. Cose da ricordare.
Fare elenchi mi aiuta a mantenere la testa libera. Forse troppo. 
Elencare vuol dire posticipare (non fai mai un elenco delle cose che stai facendo, ma di quelle che farai).
E io devo ricordarmi di vivere ora.
Già domani è troppo in là. Ora. Deciderò adesso...cosa voglio sognare! E lo farò!

sabato 14 maggio 2011

La mia Padova

Stupido gatto.
Dove si sarà cacciato adesso?
Prende tutto come un gioco, lui. Scompare. Riappare. 
Non riuscirò mai a fargli capire che abbiamo una missione seria, in questa città. E' inutile.
Trova spassoso questo continuo giro per le vie, gli piace farmi compagnia (anche se spesso va a zonzo da solo, l'animale) ma non capisce davvero cosa c'è dietro...per lui è tutto naturale.
Sarà che i gatti sono così, sono fatti per andare in giro, e anche per far compagnia alla gente.
Forse anche noi siamo fatti per andare in giro...e anche per far compagnia alla gente.
Forse c'è chi ha bisogno di andare in giro. E chi ha bisogno di compagnia.
Io so che qualcuno ha bisogno di me. 
Ha bisogno di vedermi, per ricordare che non è solo. Neanche quando sembra solo. 
Basta guardare con più attenzione, magari svoltare a sinistra al prossimo incrocio...e si accorge che solo non è. 
Ci sarà sempre bisogno di qualcuno che colori le città. Che le renda speciali. 
Tra questi vicoli tocca a me e alla mia magia. Chissà nel resto del mondo, come fanno. Stupido gatto.
Stupidissimo gatto, starà a caccia di uccelli. 
Glielo ripeto continuamente che di sera gli uccelli dormono...che noi dobbiamo lavorare quando tutti dormono...perché ci si sente più soli, di notte.
Gatto.
Finalmente. 
Scendi. 
Abbiamo una città da colorare.

venerdì 13 maggio 2011

Pronto, chiamo per la stanza singola...

Silvia è arrivata alle 10:58
Segnale preoccupante per una che aveva appuntamento alle 11:00.
Ero appena uscito dalla doccia, capelli bagnati, vestiti in giro, vapore.
"Piacere, Sandro"...poi non penso neanche più a quello che dico...ho il discorso registrato. Prima provavo imbarazzo all'idea che uno sconosciuto venisse in casa, che si dovesse far conversazione come le signorine inglesi in un romanzo della Austen...ora capisco cosa vuol dire non parlare di niente.
Silvia, dicevamo. Piccoli occhiali sul naso a punta, passetti piccoli e veloci. Maniaca Ossessiva Compulsiva per quanto riguarda le pulizie di casa. I turni, i piatti, la doccia. Scartata.


Alle 15:30 viene Riccardo. Lui arriva a e 40, come è giusto che sia tra giovani tranquilli...sereno, pacato. E' quello giusto. Bloccato!


Francesco arriva alle 18:00.
Caso umano da studiare.
Mi chiedo come un ragazzo palsemente disturbato possa decidere di studiare psicologia clinica.
Non puoi aiutare se hai bisogno di aiuto. E non puoi decidere di aiutare la gente solo perchè nessuno ha aiutato te. Francesco, io ti accetterei solo per spiegarti un po' di cose...ma Scartato!


E' il momento di Sonia, alle 19:00
Sonia? "Piacere Sonia" (Cazzo svegliati!)
"Emh...si no perchè..."(ma davvero è così?!?!)
"No a me andrebbe bene da Settembre...-.- Sonia, noi cerchamo disperatamente per Giugno...e tu vieni, sei...sei bleah, e mi dici che vuoi la camera di Settembre?! Ok, manteniamo la calma e...Scartata.


Domani altro giorno di apputamenti, ma Riccardo ci darà soddisfazioni, ne siamo convinti.


Ok, ho ripassato un po', ora posso cominciare:
E siccome non riesco a pensare ad altro che agli impegni di questo week-end, e alle scadenze e allo studio e sorpatutto alle attese che mi tocca vivere..rubo una perla ad Hesse: Ho ripreso Siddharta ieri notte, non riuscivo a dormire e avevo bisogno di qualcosa di pacato, di rilassante...ma questo è Demian, che dice una cosa che avevo dentro da una vita, ma che mi si è rivelata solo quando mi sono soffermato sulle parole della pagina:


"Già, bisogna trovare il proprio sogno perché la strada diventi facile. Ma non esiste un sogno perpetuo. Ogni sogno cede il posto a un nuovo sogno, e non bisogna volerne trattenere alcuno."


Io non so cosa sognerò stanotte...e quali progetti avrò domani...ma di una cosa sono sicuro: Mi costringerò a seguire il sogno del momento...e se dovesse essere completamente diverso da quello che sognavo da bambino, vorrà dire che vivrò con la speranza che prima o poi torni a sognare il bambino che c'è il me, così da poter seguire anche quel sentiero.


Ora crollo. Se non avessi promesso un post al giorno, sarei già tra le braccia di Morfeo.

giovedì 12 maggio 2011

Liberi (tutti).

Volevo scrivere di quanto sia stata pesante la giornata. Di come mi senta senza forze e abbia voglia di prendere un sonnifero per costringermi a dormire.
Ma non lo farò: non qui.
Ho bisogno di un luogo che mi dica che c'è altro...ed è proprio questo, il posto.
Allora ho pensato che il personaggio del mio libro (scriverò un libro, prima o poi, ve lo giuro) non avrà nessuna pressione insopportabile: sarà uno che non avrà legami eterni, che parte quando vuole, che torna quando dice lui...che poi torna dove? Non ha un luogo...non può tornare...può solo continuare ad andare...ma sempre senza limiti. Non avrà contratti firmati, impegni presi, parole date. Libero. Liberatemi. Liberiamoci.

Non è stata una bella giornata. Ma qui non lo scriverò.

mercoledì 11 maggio 2011

Si comincia (?)

Un attimo,
non è per niente facile riprendere a scrivere così, all'improvviso, dopo un letargo di due anni.
Devo riprendere l'abitudine...anche a costo di scrivere cazzate per giorni e giorni...ma da qualcosa bisogna pur cominciare!
Poi tutto verrà da sé, seguirà naturalmente il suo corso...e in fondo, se uno c'ha qualcosa da dire, prima o poi ci riesce, a dirla, fosse anche muto da una vita.
Allora per prima cosa devo cominciare a smettere di iniziare a fare le cose. E farle davvero. E completarle.
Comprare più libri di quanti se ne possano umanamente leggere. Sognare di girare il mondo, saldamente piantato alla sedia, ringraziando la legge gravitazionale.
Una cosa al giorno la troverò, da scrivere. E se non riuscissi a trovarla beh...la ruberò a qualche scrittore molto più bravo di me.

domenica 24 aprile 2011