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mercoledì 1 febbraio 2012

Febbre alta. Sogni strani.

Una ballerina su un filo. Cammina, guarda avanti. Fisso.
Cosa vuoi dirmi? Perché hai un ombrello in mano, è difficile rimanere così, in equilibrio?

Un po'. Ma  poi si riesce a non pensare a quello che c'è di sotto.

Ma io dico, perché non scendere? Arriveresti prima da quella parte del giardino. Perché attraversarlo su una corda tesa, lunga, e a quell'altezza, poi?

Non posso scendere e correre verso la fine. Ecco, vedi, quella è la fine. Il senso sta nel tenersi in equilibrio cercando di aiutarsi con l'ombrello, e non pensare che si potrebbe cadere ogni volta che fanno male le gambe. Se mi mettessi a correre, arriverei.

Cosa vuoi dirmi?

Il tempo non è circolare. Voi l'avete reso circolare, con i vostri calendari. Le vostre cifre assurde spaccate dalla nascita di un individuo nel bel mezzo della Storia. Il tempo, è una corda tesa sulla quale stare in equilibrio. Non si può tornare indietro. Non ci si può fermare, perché si rischia di cadere giù.

Si deve andare avanti. Senza guardare giù. E le cose finiscono, la gente parte, i film arrivano ai titoli di coda. Che ne so, anche la nona di Beethoven, per esempio. Dura tanto. Dura anche più del solito. Ma poi finisce. Inesorabilmente.

E' questo che vuoi dirmi? Che camminiamo verso la morte, giorno dopo giorno? E che niente tornerà come prima?

Sì. Ma guarda che vista che c'è. Non guardare giù. Non cadrai. Goditi lo spettacolo.

martedì 22 novembre 2011

E' silenziosa, la bellezza

Forse tutto quello che facciamo, in fondo, è cercare quel pizzico di bellezza nell’inferno che ci circonda.
Se ci pensi un attimo, non c’è nulla di perfettamente bello.
Anzi la bellezza c’è, spesso, proprio perché  c’è anche qualcosa che non va. 
Un inferno, con in fondo qualcosa, qualsiasi cosa, di bello.
Non so cosa sia bello, e comunque non importerebbe a nessuno: salvo poche cose (l’ultimo canto del paradiso, il requiem di Mozart, Lontano lontano di Tenco, l’Alexandros di Pascoli, la vendetta di Edmond Dantés, Follia di McGrath, Eugenio Allegri che recita Novecento, Il bacio di Klimt, Il notturno Op9numero2 di Chopin, gli amanti di Magritte,  forse qualcosa in più…) di oggettiva bellezza, il resto è tutto un susseguirsi di attimi che regalano emozioni e rendono il bello qualcosa di raggiungibile, almeno per un attimo.
Bellezza.
Come se si sapesse che vuol dire. 
Concetti astratti che fissiamo per convenzione. 
Se ci pensate ognuno potrebbe avere un suo concetto di bellezza, di tristezza, di felicità, di amore…e potrebbero essere tutti diversi. 

Sette miliardi di concetti, tenuti insieme da un racconto di Dumas reso eterno da Verdi.

Se c’è una cosa di cui sono sicuro è che la bellezza, il concetto intendo, ha a che fare con altri tre elementi, imprenscindibili, che la completano, le danno vita, e la vegliano:
Tre elementi, uno diverso dall’altro, quasi uno mancante dell’altro, ma solo superficialmente: la lentezza, il movimento, l’imperfezione.

Il bello è lento, lento nei tempi, nei modi. Lento.

E si muove, quasi sempre. Una ballerina che sta per entrare in scena. Un attore che sbaglia una battuta e si gira a cercare il suggeritore, la musica, una curva molto larga che va prima a destra e poi a sinistra. Il collo di lei coi capelli legati all’in su tenuti insieme da una matita. La sua spalla nuda.

E’ imperfetto. E’ ciò che in mezzo all’inferno, non è inferno. E’ qualcosa di incompleto, lasciato a metà dalla natura, un pensiero ancora da pensare, una parola pensata e non detta. Un bacio sulle labbra. Lento anche quello.
E’ una macchina distrutta sulla strada deserta all’arrivo dell’autunno.



venerdì 11 novembre 2011

Perdersi.

Non conosci davvero una città finché non ti perdi tra le sue strade infinite.
Non conosci davvero te stesso finché non ti perdi tra le strade di una grande città.
Io le incontro così, le città. Perdendomi.
E’ così che ho iniziato il mio passaggio a Porto. Senza una cartina tra le mani. In Spagna c’è un verbo utilizzato per dire “camminando a piedi”, si dice “Andando”. Per un italiano è strano perché andare, per noi, vuol dire muoversi, in qualsiasi modo, da un posto all’altro. Per loro no. Andare è andare a piedi. E basta.
Andando per la città allora, mi accorgo che c’è qualcosa che non ho mai visto da nessuna parte: i colori.
A Porto, di diverso, c’è la sensazione di essere caduto su una tavolozza di un pittore fiammingo. Rosso. Blu. Azzurro. Verde ma non troppo. Colori, gente. In città.
Mi sono perso tra le strade di Porto, poi ho deciso di prendere una cartina.
Solo per non avere l’impressione di non aver visitato niente ho fatto il giro che mi consigliavano per vedere il più possibile, ma la vera visita l’avevo già fatta tra quelle stradine strette, tutte in pietra, sovrastate da palazzi altissimi, luci buie per la via, inquietanti. Dal basso verso l’alto, come per scalare una montagna. E poi…il panorama.
Come ve lo spiego il cielo di Porto?  

Pre-partenza. Poi si parte davvero.

Ore 5:44.
Seduto alla caffetteria dell’aeroporto. 
Prima sconfitta da registrare: Costretto a prendere taxi. 
L’autobus è poi arrivato, sulla collina…ma l’altro, quello che doveva portarmi a prendere il bus per l’aeroporto aveva 20 minuti di ritardo…e non potevo permettermi di perdere questo tempo, considerando che l’ultimo bus per l’aereoporto partiva troppo presto. Forse riuscivo a farcela, ma data la sfiga ho preferito non rischiare. 
Pagato 24euro. 
Quanto i biglietti aerei per Santiago e poi da Porto a Madrid.
Prima lezione: mai più aerei con orari assurdi. La prossima volta, aerei dopo le nove, come minimo. Oppure vengo a dormire in aeroporto. Ma non si può rifare un’esperienza come quella di stanotte.
Ok, dimentichiamo il taxi, il freddo che mi ha gelato i piedi e le gambe e quel minchia di autobus che mi sono lasciato scappare da sotto gli occhi. C’è un viaggio da fare. Sono solo tre giorni, ma è comunque un viaggio, con tutti gli inconvenienti del caso.
Il caffè è caldo. E chiamarlo caffè è una bestemmia. He preguntado “un capucino”, mi hanno detto che non si poteva, solo café con leche. E pigliamone sto café con leche.
Non vi dico neanche se è buono o no. Il caffè in Spagna non può essere buono. Deve esserci solo per necessità, ma non esiste il piacere del caffè. “Un café como sse ddeve”, diceva una pubblicità tempo fa. Niente da fare. Café con leche, almeno è caldo.
Sono seduto a un tavolino per due. Circondato da gente assonnata che addenta cornetti fumanti e beve succhi di frutta (avranno provato una volta il café, quini ora prendono solo succhi.) L’imbarco apre alle 6:40, chiude alle 6:50. Bah
Ai controlli avevo dimenticato l’orologio. Mi hanno perquisito quasi fossi un criminale: capisco che non mi taglio i capelli da due mesi, ma il faccino innocente non è mica scomparso!!
Quando arriverò a Santiago sarà mattina presto.
Non ho ancora pensato cosa devo fare, lo faccio insieme a voi: 1.cercare un autobus che mi porti verso il centro di Santiago.
2.Raggiungere l’albergo (Check in alle 10:00)
3.Chiedere dove si trova la stazione dei treni (domani partenza per Porto)
4. Chiedere se ci sono dei treni che portano direttamente a Porto.
5. Chiedere una mappa  in cui siano segnate le cose principali da vedere in un giorno e mezzo.
Va bene, non sembra difficile. Sempre che tutto vada come sperato. Magari hanno cancellato tutti i treni che vanno in Portogallo…ma stavolta il taxi non lo prendo di sicuro! 

giovedì 10 novembre 2011

L'importante è pensare a tutto PRIMA!

Non sono ancora partito.
In questo momento aspetto un autobus che non so quando arriverà, se arriverà, per portarmi in centro a madrid, dove, se arrivo sano e salvo in tempo, dovrò prendere un bus che mi permetterà di prendere l’ultimo bus che porta all’aereoporto. Avete capito? Io sono ancora alla prima fermata. Ma dovete aver chiaro dove sono, e soprattutto che sono qui da un’ora. E adesso sono le 4:08  del mattino.
Partiamo con ordine, dal pre-serata.
Compleanno di Danilo. Centro di madrid, alle 21:00. Per raggiungere il centro devo prendere il metro, e dopo un’oretta circa ci sono. Non ci sono problemi. Armato di valigia e cattive intenzioni, arrivo alla festa dove incontro tanti amici e conoscenti. A mezzanotte e mezzo bisogna andare perché per entrare in discoteca gratis si deve arrivare prima dell’una e mezza. Io declino l’invito, approfitto del metro aperto per prendere un treno che mi porti a prendere il bus che mi porta alla residenza in cui abito. Prendo il bus dell’una e mezza, alle 2 sono nel mio letto. Ho risistemato la valigia lasciando un jeans e una felpa, così riesco a farci entrare il pc, cercando inutilmente di non svegliare il mio compagno di stanza, poi mi sono vestito e mi sono messo a letto. Sveglia puntata alle 4 meno un quarto. 
Non riuscivo a dormire. 
Troppe cose da fare, troppi orari devono coincidere per arrivare in orario, mi alzo alle 3, cambio giubotto (non fa poi così tanto freddo) e riprendo la mia valigia, per cercare una fermata sconosciuta, mai presa, che sarebbe quella della linea notturna che porta a Madrid. (l'ho sempre fatta al contrario)
Dopo dieci minuti di ricerca, vedo una luce che potrebbe sembrare quella che indica una fermata, mi muovo verso quella direzione e sento un cane abbaiare in un modo spaventosissimo. Da paura, davvero (ok, io mi spavento facilmente, ma era davvero inquietante).
Comunque sarà stato legato, perché non ho visto niente, solo latriati alla luna, o a me.
Raggiungo la fermata e la luce che avevo visto da lontano è un terribile squalo che sta per mangiare una nuotatrice: è la pubblicità di un film al cinema, ma in questo contesto mi sembra più un cattivo presagio!

Dovete immaginarvi la scena: deserto, qualche albero solitario si alza verso il cielo. La strada principale passa sotto una collinetta. Io sto su quella collinetta, il bus dovrebbe fare una leggera deviazione per raggiungere le fermate (poste ai due versanti della collina) per poi riprendere il cammino nella strada principale. Buio, silenzio. Nebbia fitta e lampioni che emanano una luce gialla. Scura, quasi arancione, di quelle calde e buone per l’interno di una stanza, ma troppo scure per un ambiente esterno, quasi inutili, soprattutto con la nebbia.
Tre della notte. Adesso 4 e venti. Ma cosa stai a fare ancora lì, ti starai chiedendo. Non capisci che non passerà mai niente? No amico, ti sbagli. Passerà un autobus, l’unica domanda è "quando?" Seguita subito da un'altra che la rende meno unica: “Si fermerà a raccogliere questo corpicino inerte che vuole partire, evitando di chiamare un taxi?”
Passerà perché l’ho già visto, mentre ero sull'altro versante. 
Perché? Ti spiego.
Mentre aspettavo questo faitidico autobus, che teoricamente dovrebbe partire dal capolinea alle 3 e 20, poi alle 4 e 20, vedo tutt’un tratto un autobus vuoto che passa per la strada principale, senza salire il versante per assicurarsi che non ci sia nessuno alla fermata; mi immagino il pensiero dell’autista: “Sono le 3 e mezzo, chi vuoi che ci sia a quest’ora che vuole andare al centro di Madrid.” Vaffanculo, autista.
Vedo che tira dritto, il pirla, quindi mi innervosisco leggermente e decido di andare a prendere il bus che si allontana da Madrid per scendere a una o due fermate più in là, sperando che siano poste logisticamente meglio dell’attuale. Mentre aspetto quel bus però, vedo che un altro bus arriva, dalla parte opposta, quella che porta a Madrid, e passa davanti alla fermata dove pochi minuti prima stavo agonizzando per un passaggio verso la città, e riprende la sua corsa.
Sfiga, dirai. Sì, ti rispondo. Sono sfigato. Troppo sfigato.
Mi rendo conto che prima o poi passerà un altro bus da quella fermata. Decido di tornare dall’altra sponda, quella che porta a Madrid.  E aspetto. Ora sono le 4 e venticinque. Arriverà. Prima o poi arriverà. E riuscirò ad arrivare a piazza de Castilla per prendere Bus che mi porti a Cibeles per prendere bus che mi porti all’aeroporto.
Aspetto fino alle 5, poi chiamo un taxi.
Fine prima parte. Devo ancora cominciare il mio viaggio.
Un saluto a tutti quelli che in questi giorni hanno ripetuto che programmo troppe cose e che mi faccio troppe paranoie. Sono uno sfigato distratto e addormentato.

lunedì 24 ottobre 2011

Granada

Gli antichi costruirono Valdrada sulle rive di un lago con case tutte verande una sopra l'altra e vie alte che affacciano sull'acqua i parapetti a balaustra. Così il viaggiatore vede arrivando due città: una diritta sopra il lago e una riflessa capovolta. Non esiste o avviene cosa nell'una Valdrada che l'altra Valdrada non ripeta, perché la città fu costruita in modo che ogni suo punto fosse riflesso dal suo specchio, e la Valdrada giù nell'acqua contiene non solo tutte le scanalature e gli sbalzi delle facciate che s'elevano sopra il lago ma anche l'interno delle stanze con i soffitti e i pavimenti, la prospettiva dei corridoi, gli specchi degli armadi.
Gli abitanti di Valdrada sanno che tutti i loro atti sono insieme quell'atto e la sua immagine speculare, cui appartiene la speciale dignità delle immagini, e questa loro coscienza vieta di abbandonarsi per un solo istante al caso e all'oblio. Anche quando gli amanti danno volta ai corpi nudi pelle contro pelle cercando come mettersi per prendere l'uno dall'altro più piacere, anche quando gli assassini spingono il coltello nelle vene nere del collo e più sangue grumoso trabocca più affondano la lama che scivola tra i tendini, non è tanto il loro accoppiarsi o trucidarsi che importa quanto l'accoppiarsi o trucidarsi delle loro immagini limpide e fredde nello specchio.
Lo specchio ora accresce il valore alle cose, ora lo nega. Non tutto quel che sembra valere sopra lo specchio resiste se specchiato. Le due città gemelle non sono uguali, perché nulla di ciò che esiste o avviene a Valdrada è simmetrico: a ogni viso e gesto rispondono dallo specchio un viso o gesto inverso punto per punto. Le due Valdrade vivono l'una per l'altra, guardandosi negli occhi di continuo, ma non si amano. (Calvino - Le città invisibili)




sabato 1 ottobre 2011

Sopra tutto quello che alle due di notte può venirti in mente.

Avevo scritto. Poi non mi piaceva. Aveva un sapore tiepido. Quella temperatura che non serve a niente. Come fai a bere un tè tiepido? O è freddo o è caldo. Cos'è, tiepido?
La verità è che per ora è tutto un po' tiepido. 
Avrei bisogno di una birra ghiacciata sul bancone di un bar. O di un tè caldo su un tavolino per due. Qualcosa che non sia tiepido, ecco.

Madrid è la città che non dorme mai. Dopo un mese scopri che però tu, almeno un po', devi dormire.


Oggi ho letto che Benjamin non arrivò a scrivere neanche un libro. Lui prendeva appunti, aveva idee geniali, ma poi niente, non gli riusciva di mettere in piedi uno schema ordinato. 
Ecco io non voglio non avere uno schema. Però ho un debole per "tutteledirezioni". E' più forte di me. E mi sembra sempre che si possa avere un po' di più prima di convincersi che è ora di sistemare le cose in modo stabile. Di costruire un'impalcatura. Mi sembra sempre che non sappia abbastanza, che ci sia ancora tanto da vedere. Che c'è quell'angolo che non ho fotografato e magari se torno al tramonto e incontro una ragazza con l lentiggini...


Ho letto anche che i fiumi fanno un percorso 3,14 volte la loro lunghezza per arrivare a valle. 3,14 senza errori. Non so se sia vero. Stanotte mi piace pensare di sì. E che io sia un fiume. E che abbia davanti "tutteledirezioni".


Ho letto, infine, che Benjamin, tra i suoi appunti, scrisse anche qualcosa su Topolino. Tra tutti gli argomenti ALTI di cui aveva parlato, per un attimo, scrisse di Mickey Mouse: avrebbe potuto benissimo risparmiarsi una riflessione su Topolino, eppure la fece. Proprio come me, questa notte in cui mi ero ripromesso di andare a letto presto. Avrei potuto...ma perché no?


"Quando girando per un paese sconosciuto trovate il cartello che indica 
<<Tutte le direzioni>>, 
vi sembra di non meritarvelo o siete presi da leggera euforia?"


Ho bisogno di un tè caldo. "Quieres ir a tomar algo, mañana por la tarde?"