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giovedì 30 giugno 2011

(Quando)Arriviamo(?)

Il trucco è andare avanti come se non ci fossero delle scadenze imminenti. E' così che ho resistito per queste settimane, pensando che un passo alla volta, sarei riuscito a raggiungere la meta senza riflettere sul cammino fatto fin'ora.
Scalare una montagna senza guardarsi indietro, neanche una volta.
Poi ti accorgi che arrivato in cima non resta molto. La soddisfazione di avercela fatta, forse.

Quando arrivi (se arrivi) ti guardi finalmente indietro, e vedi che le cose belle, quelle che credevi di trovare una volta raggiunta la vetta, beh, le hai già superate, te le sei lasciato alle spalle, mentre salivi, troppo occupato a fissare il traguardo per concederti una distrazione, un attimo di pausa.

E allora ti accorgi che andando dietro a un esame l'estate può finire improvvisamente.
E pensando che a Settembre vai a Madrid per un anno, rinunci a provarci con "quella lì".
Progetti futuri che tagliano le gambe al presente. E lo rovinano.

Vivere soltanto di una meta futura è sciocco. E' sui fianchi delle montagne, e non sulla cima, che si sviluppa la vita.


E invece della vetta io voglio fregarmene. E' il viaggio che mi interessa.
Non riuscirò a dimenticare le date che segnano la mia tabella di marcia, ogni giorno. Però devo imparare a dare il giusto valore alle cose. E alle persone. Devo guardarmi attorno. Curiosare. Smetterla di fissare il traguardo sperando  che una volta raggiunto finalmente- lì soltanto - raggiungerò la felicità.
Se c'è, questa, sarà in un passo tra i tanti, magari in uno su un sasso instabile, o la scoverò seduto a riposare, mentre mi godo il vento tra capelli e il sole al tramonto.


A volte viaggiare è quasi meglio che arrivare.


Sono tornato a casa da tre giorni. Ma è un eterno viaggio, tra presente e passato. Devo ancora trovare il mio spazio, in queste nuove geometrie (nuova gente, nuovi occhi che mi fissano), ma mi godo il viaggio.

sabato 25 giugno 2011

Padova Catania ON THE RAIL.

Sono su un treno di pazzi.
A Padova c’era solo un ragazzo nello scompartimento. Fa il militare (ha tutto lo zainetto e il borsone, e la maglia attillata e i pettorali, e l’espressione di uno che fa il militare). E’ il più normale di tutti. Poi sono salite due vecchiette…non sono nel mio scompartimento, ma gridano, dai loro posti, che è come averle accanto. Non capiscono come va usato il lenzuolo, (è di quelli a sacco, chiusi da una base e da un’altezza. Avete capto? No? Bah!) e allora c’è l’esperto di turno, che naturalmente non ha mai visto un lenzuolo e non ha la minima idea di come si possa dormire dentro quel pezzo di pseudo-stoffa, ma fa di tutto per rassicurare le vecchine, tenendo il loro stesso tono di voce e spiegando che “vedete, si farà così, questa è la testa, e qui ci mettete i piedi!” (maperchèlodevigridare?!?!)
A Bologna lo scompartimento si è riempito: sale un omino pelato, dalla carnagione olivastra e un altro omino meno omino del primo, ma più pelato, e con una carnagione più chiara. L’olivastro (o il meno pelato, decidete voi il termine di confronto (volendo ha anche gli occhiali che l’altro non ha (E’ JONNHY???? Abbassare le tessere con tutti quelli che hanno i capelli e non hanno gli occhiali))).

Il militare ha il pc collegato a internet, e sente musica tunz tunz da you tube. Ora, io l’avevo detto che non era uno di quelli che etichetti come intellettuale (non voglio che senta guccini, però cazzo, proprio la tunz tunz!?!?!?!) e comunque, se il flusso della musica attraversasse solo le sue operations private (il termine operations può essere usato per indicare qualsiasi cosa, dopo che date un esame di economia e gestione delle imprese) nessuno avrebbe nulla da dire…ma se, superando i decibel previsti dalla carta dei diritti umani, arriva a distruggere psicologicamente le mie cuffiette che al massimo del volume cercano di farmi distinguere qualche parvenza di “Innuendo”, allora i miei giudizi non possono essere che spietati. (Due parentesi necessarie: Scrivo periodi troppo lunghi: non perché stia leggendo Proust, né per  trasportare tutto su un piano surreale, ma perché è da tanto che non scrivo. E il mio cervello ha pensato troppi numeri negli ultimi mesi. E sentimenti troppo freddi. E ora torno normale. Torno io, a scrivere. Un fiume in piena!
La seconda parentesi vuole precisare che non è vero che stia ascoltando i Queen, ma dopo aver criticato la musica tunz tunz non posso rendermi vulnerabile, e quindi vado sul sicuro…citando Freddy non si sbaglia, mai.)

Torniamo all’olivastro: mi chiede aiuto per sistemare la valigia. Non ha forza, mi dice. Lo aiuto. La valigia pesa un casino. La mettiamo lì in alto, starà bene.
Dopo due minuti mi guarda e conclude che “forse è meglio che me la tenga vicino, la valigia, perché c’è lo spazzolino da denti, e il profumo. (evitiamo facili commenti, per favore: si vede che non è una persona con cui discutere per più di venti secondi, in questo caso la parola d’ordine è ASSECONDARE!) Gli SCENDO  la valigia (posso parlare così, sto scendendo in Sicilia e le cose di Acchiananu e si Scinninu, si Trasinu e si Niscinu), mi ringrazia con un ampio sorriso. Ricambio. (Ci siamo innamorati? No, è che devo passare una notte quasi sicuramente insonne per colpa del suo russare (scommetto che ci si metterà anche l’altro pelato), quindi mi costringo a non odiarlo prima di mezzanotte, perché dopo, imprecare al buio è molto più soddisfacente.

L’altro pelato, quello senza occhiali, mi guarda spazientito: sono seduto e non ho alcuna intenzione di andare a letto alle 22:08, mentre lui (qui persino Signori ci scommetterebbe) vorrebbe prepararsi il lettino (ma il lenzuolo, come si metterà, in alto o in basso (CHIEDA ALLA VECCHIETTA!))  e prendere sonno per primo, così da cominciare a russare e fottere il resto della ciurma. Io rimango impassibile. Sto scrivendo al mio pc, e prima stavo leggendo, e non ho alcuna intenzione di smettere per maledire la gente al buio di una triste cuccetta che attraversa l’Italia da Nord a Sud.

Il tipo con 6 orecchini è nello scompartimento accanto al mio: ha tre pearcing per orecchio. Tutti nei rispettivi lobi, uno accanto all’altro. La barbetta e la canottiera. Scende prima, questo. Non è siciliano, si vede.
Le vecchiette sono di Lamezia, lo abbiamo scoperto quando hanno deciso di raccontare un po’ della loro vita all’ INTERO TRENO!
E una ha tre figli. L’altra solo due. Vince la prima.
Il controllore mi ha chiesto il biglietto. La prima cosa normale di questa giornata.

Leggevo “Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”, prima, e ho raggiunto pagina 80 senza neanche accorgermene. Mi piacerà, ne sono sicuro. Mi ci vuole un libro che mi porti a rileggere per bene le frasi. Che parli di arte. E di libertà.
Intanto il treno sfreccia, dopo Bologna dovrebbe esserci Firenze, se non sbaglio…quindi non ci saranno fermate in vista…almeno per un po’.
Mi dedico per un attimo all’attività che in treno prediligo, quando non tengo gli occhi sui libri (vi ricordate l’intro di Pickwick, (anche Castelli di rabbia ne parla), quello della gente che sul treno, a velocità altissima, apriva un libro e leggeva, per salvarsi? Beh…anche io, non faccio altro che cercare vie di fuga. Uscite di sicurezza.): ogni tanto, quando non c’è troppa campagna sperduta, si riesce a intravedere uno scorcio di abitazione, illuminata dal lampadario della cucina, con qualcuno che guarda la tv o con una mamma che porta qualcosa in tavola, dove tutti stanno seduti ad aspettare ( non si vede tutto questo, di solito ,si immagina)…oppure c’è solo una luce illuminata, dietro una tenda che nasconde alla vista (leopardi docet): se ti metti a cercare di immaginare che vita ci sia dietro quella tenda, anche solo per un attimo, finchè la casa non scompare dalla tua vista, magari finisce pure che crei la traccia per il tuo prossimo romanzo, e che diventi uno scrittore famoso e mandi a fare in culo l’economia e l’analiticità dei classici del pensiero, per darti al romanticismo più sfrenato, arte pura, spirito, vita.

Magari non ti viene niente, e allora dovrai ripiegare sui personaggi che ti accompagnano nel viaggio. Magari ti succede che sono pazzi. E che inizi a scrivere di loro, e non la smetti più. Finalmente.

giovedì 23 giugno 2011

Quant'è?

Ok, io scrivo. Ma non è colpa mia.

Dite che non si può scrivere rimanendo anonimo. Invece è proprio così che voglio raccontarmi, qui.
Questo non c'entra con me. O forse quell'altro non c'entra, e questo è quello giusto. Di sicuro c'è solo che non sono gli stessi.
Si incontreranno, prima o poi. Ma non ora. Ora ci sono troppe cose da fare, non ci si può fermare a pensare, almeno non più di qualche minuto, magari solo per mettere in ordine, per evitare di impazzire.
Non voglio vivere senza pensieri. Li voglio, io, i pensieri. E voglio fare delle scelte. E magari poi pentirmene, ma essere coerente. E inseguire quello che voglio. Ma prima volerlo. E capire di volerlo, e convincersi, che ci sia qualcosa che voglio. Non posso non volere nulla. Non posso pensare che quando le cose si avvicinano e finalmente posso averle per me, magari non le desideravo poi tanto. Magari c'è qualcuno che li desidera di più, forse io sto bene qui, così.

Voglio un luogo che non sia solo nella mia mente. Lo cerco. Ma prima devo volerlo. E capire di volerlo con tutte le forze. E non continuare per inerzia. Essere spinto, da dietro, dalle mie convinzioni. E da nient'altro.

Ora le mie convinzioni mi portano a casa. Convinzioni e un po', anche le polpette della mamma. Datemi un luogo. Ma voglio sceglierlo.