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martedì 19 luglio 2011

Scrivere è innamorarsi di qualsiasi cosa porti in sé una speranza.

E’ la linea tra braccio e avambraccio più bella che abbia mai visto.
Disegna un’armoniosa curva, piena e delicata.
Tiene il libro con una mano, al centro e dall’alto, con un po’ di pressione tra le due pagine: legge poco.
Una pagina, forse neanche. Poi si distrae. Parla coi vicini, scambia occhiate, torna a leggere qualcosa. 
Chiude gli occhi, solo per qualche minuto. Ha la testa abbandonata verso sinistra, che sfiora appena il poggiatesta rigonfio.

Capelli rossi; di un rosso che non è soltanto rosso: è un insieme di colori, di tracce che il cervello traduce “ROSSO” solo perché non riesce a cogliere le sfumature giuste,non comprende le dimensioni che arriva a contenere. 
Rosso che rosso non è. Ramato. Giallo. Castano chiaro. Colore d’autunno, di foglie che cadono, di tristezza; di un regalo non gradito.
Ha un anello all’anulare destro. E’ grande. Troppo voluminoso per una donna come lei. 
Sì, perché lei ha l’aspetto di una che d’estate indossa un vestitino che arriva appena sopra il ginocchio, quello leggero leggero che fa benedire la delicata brezza dell’imbrunire.
E’ di quelle che mettono il top senza reggiseno. 
Di quelle che alla prima occasione fanno quella strana magia che permette a una matita di mantenere i capelli all’in su, lasciando le spalle scoperte (altre morbide curve, altre linee armoniose).

Piedi scalzi, uno tirato sul sedile: cinge la gamba destra con il braccio che non tiene il libro.  L’altro è allungato in avanti, alla massima estensione che una gamba può raggiungere senza sforzo. Non ha lo smalto alle unghie, quasi volesse dirmi con questo che ho ragione nel giudicarla una che non può tingere quelle unghie che poco dopo morderà ossessivamente. Orologio al polso: è un oggetto indossato per la sua funzione (chi usa, ormai, l’orologio per avere un oggetto che misuri il tempo?), niente comunicazione di personalità o narcisismo tecnologico: l’avrà trovato mentre preparava la valigia, avrà pensato che tirar fuori continuamente il cellulare per controllare l’ora sarebbe stato più scomodo di indossare quell’orribile, digitale, ingombrante misuratore di tempo, e avrà deciso di prenderlo. Ma non le appartiene, non racconta nulla di lei. Non è davvero suo.
Sto pensando che potrebbe essere il regalo di un fidanzato distratto. O magari di un ex che non ha dimenticato. Dimenticalo, cara. Ascoltami, non ne vale la pena. Chi mai potrebbe regalare una cosa del genere senza avere alcuna intenzione di chiudere con te? E chi mai desidererebbe chiudere una storia con una con i tuoi capelli e quelle lentiggini appena accennate? Mollalo, e se vi siete già mollati, sta’ tranquilla. Non era quello giusto!

Sto cercando da un po’ di indovinare la tua età. Ne hai trenta? Di più? Mi spingo fino a 35, non uno di più. Ho appena assistito a un passaggio, nel tuo volto, che ti racconta in modo straordinario: o almeno racconta quella che sei dentro la mia testa, e dentro i tasti che formano queste frasi: Sorridevi ai tuoi vicini: quando sorridi c’è come una luce, attorno al volto. Niente di trascendente o miracoloso, ma sei una che sorride col volto, e non solo con la bocca. Mostri i denti senza vergogna (sono bianchissimi, e ne vai fiera) e poi c’è quella fossetta che si crea, ai due lati. Simmetrica, appena accennata: penso che il trucco stia tutto lì! Non  ho più detto cosa hai fatto per scoprirti in quel modo ai miei occhi: sorridevi, dicevo, però la conversazione era finita, volevi tornare al tuo libro, al tuo racconto di Cammilleri (o Carofiglio ?(maledetta miopia!)) che quasi sicuramente non ho letto (ne ho letti così pochi di entrambi), e ti sei decisa a farlo un secondo prima del necessario, quando avevi ancora tracce del tuo radioso sorriso sul volto: ti sei trovata impreparata e imbarazzata. Tornare alla vita normale dopo una sorriso così, di colpo, all’improvviso:  sei passata ad un’espressione divertita, bocca chiusa leggermente sorridente, poi, pian piano, sei diventata più seria, fin troppo: hai piegato in giù le labbra, corrucciato la fronte, quasi a voler raccontare col volto che eri interessata alla storia, come se avessi letto qualcosa di estremamente interessante che aveva catturato la tua attenzione, quando invece stavi semplicemente pensando a come sia dura cambiare tutto completamente, passare da uno stato all’altro senza alcun filtro, senza preparazione. Oppure stavi solamente pensando che non dovevi avere una bella espressione in quel momento. Non ti piacevi, e basta.

Cazzo mi hai scoperto. Non sono stato bravo a nascondere il fatto che ti stessi studiando. Hai alzato lo sguardo all’improvviso, in tensione, a dirmi con gli occhi che mi avevi visto, che non sono più nascosto dietro il mio monitor, che non c’è più scampo. Non sarai più un libro da sfogliare ma uno specchio. Guardo te e mi ci vedo dentro. Fai attenzione, ti sei chiusa. Ne è valsa la pena però.
Mi dispiace solo di essere stato così stupido da tenere le cuffie alle orecchie per tutto questo tempo: hai parlato, per un po’, e io non ho sentito la tua voce. Avrai una voce che ti racconta mentre parli? O la terrai nascosta dietro una neutra e perfetta dizione? E quando sorridi, la voce cambia, o dimentichi di parlare perché tanto la gente non ti sta più a sentire?

Il mare della Calabria spunta dal mio finestrino. Mi sembra troppo poco blu, quel mare. E’ semplicemente blu. Il tuo rosso invece è qualcosa di più. E’ il mare, al tramonto, una sera d’estate. E un vestitino a fiori, 
tentato da un vento leggero.



sabato 9 luglio 2011

Sunk Cost

In economia lo chiamano Sunk Cost. Costo affondato.

Per capirlo devi assumere una posizione temporale intermedia, tra l’inizio e la fine di un progetto:
qualsiasi momento della tua vita: 
hai sempre fatto qualcosa prima, farai per forza qualcosa dopo (anche se sei la particella di Dio, o se stai pensando di buttarti da un palazzo di 18 piani. Anzi, anche se stai già cadendo di sotto.) e, per un attimo, devi riflettere riguardo l’alternativa di continuare o di lasciar perdere.
Cosa? 
Non lo so, cosa. 
Qualsiasi cosa.
Tutto può essere ricondotto al nostro esempio. Se ci pensi, non fai altro che scegliere, porti delle alternative, continuamente, a volte senza neanche rifletterci. 
Per assurdo potresti anche decidere di non respirare più.

O potresti decidere di non decidere niente, cadendo in un paradosso senza fine che ti farebbe non decidere di decidere di non decidere (non sono ubriaco, è che mi diverto con le parole!).

I Sunk Costs, dicevo, non sono nient’altro che dei costi che non meritano di essere tenuti in considerazione, per il semplice fatto che sono – appunto – affondati, e quindi non possono influenzare la decisione futura. Non possono portarti a decidere di non fare qualcosa perché non l’hai mai fatta. 
E neanche a continuare qualcosa che non vuoi fare solo perché c’hai investito anni della tua vita.
Sono una gran cosa, i Sunk Costs: ti lasciano sempre la possibilità di abbandonare tutti gli errori fatti in passato. Ormai ininfluenti. E ti danno la forza di ripartire. Senza altro pensiero che il futuro. Senza niente alle spalle, niente di importante, almeno.

“Sarebbe da stupidi, non credi, passare una vita intera a desiderare qualcosa senza mai agire?”

Prendete in mano la vostra vita. Dimenticate il passato. Siete quello che siete ora
E potete diventare chiunque vogliate.

martedì 5 luglio 2011

Non-luogo lontano. Quasi un puntino.

Lo so come funziona: lei ti sembra la donna più bella che tu abbia mai visto sulla faccia della terra. E lo è.
E' perfetta in ogni cosa. Quando parla e quando sta a sentire. E poi quei capelli!
Forse è meglio non avvicinarti però. Passerà. Anzi no. Non passerà solo se rinuncerai a inseguirla. Lasciala lì. Perfetta.
Ti racconterai delle storie fantastiche sulla vostra invisibile storia. E andrà tutto bene. E lei non diventerà mai troppo presente da essere un errore. Il sogno è l'infinita ombra del vero.

Oppure attacca. Corri, brucia e grida. Ma non lamentarti, quando comincerai a spegnerti lentamente.
Lei è bellissima. Solo perché è lontana (?).